Ictio: tutto sulla malattia dei puntini bianchi

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L’ictioftiriasi, o ictio o malattia dei puntini bianchi, è una malattia parassitaria molto comune nei pesci d’acquario dolce: ogni autunno i più sfortunati tra gli appassionati di ritrovano a dover ricorrere a trattamenti medicinali, e i più sfortunati di loro a seguire “rimedi della nonna” e pratiche tramandate oralmente, ormai superate, che rischiano di fare più male all’animale che al parassita in alcuni casi.

In questo articolo tratteremo tutto quanto riguarda la malattia: chi la causa, cosa gli fa prendere il sopravvento, come curarla e anche come prevenirla. Lo faremo nella maniera più semplice ma completa possibile, avvalendoci di fonti scientifiche di cui linkeremo le fonti, che per fortuna sono molte: essendo la malattia di grande interesse economico anche negli allevamenti, è molto studiata anche dal punto di vista accademico. Ed ora, iniziamo.

Ictio: cosa la causa?

L’ictio è causata dall’Ichthyophthyrius multifiliis, una parola che si può tradurre in italiano come “pulce d’acqua dai molti figli”,  dato che un singolo esemplare può replicarsi in un solo ciclo vitale anche migliaia di volte. Per semplicità, da ora in poi lo chiameremo semplicemente “ictio”.

 

Ictio
Una scansione al microscopio elettronico di un Ichthyophthyrius multifiliis incistato sulla pelle di un pesce

Il parassita può essere descritto come un sacchetto grosso modo sferico, provvisto di una bocca a forma di solco e molte ciglia per il nuoto. Si tratta di un protozoo della classe degli Oligohymenophorea, che include anche altri patogeni come Tetrahymena, ma anche organismi filtratori come Vorticella e Paramecium, presenti normalmente nella microfauna dell’acquario. Il paramecio, per dire, è comunemente responsabile di quelle che vengono erroneamente definite “esplosioni batteriche”. Il mondo degli organismi microscopici è vasto e quasi inesplorato, e avremo modo di approfondirne la conoscenza in futuro: il loro ruolo in vasca è molto più importante di quanto si possa pensare.

L’ictio si attacca principalmente alla pelle ed alle branchie dei pesci, nutrendosi dei fluidi che ottiene rompendo le cellule vicine al punto di attacco. Il corpo del pesce reagisce inspessendo la pelle e richiamando globuli bianchi mentre il parassita si nutre aumentando di dimensione, formando il classico puntino bianco e ben definito che tutti purtroppo conosciamo come segno della malattia. Il pesce infetto potrebbe strusciarsi sugli arredi o sul fondo per grattarsi o respirare male se è colpito alle branchie. La cisti che si forma infine si stacca, lasciando una microferita e del tessuto necrotizzato che possono facilitare, come vedremo, un nuovo attacco da parte del parassita e delle infezioni secondarie.

La malattia non è di per sè mortale, quindi, ma è debilitante, il che vuol dire che se trattata in tempo può essere curata.

Raramente, l’ictio è stata trovata però anche nelle cavità nasali e cerebrali dei pesci, e nella cavità peritoneale. Infezioni del genere, in cui il parassita è impossibilitato a distaccarsi, possono dare esiti nefasti e non curabili.

Il ciclo vitale dell’ictio

Molti parassiti hanno un ciclo vitale complesso, con alcune fasi in animali come lumache o insetti, ed altre fasi che infettano pesci. L’ictio completa il suo ciclo vitale infettando invece un solo ospite, un pesce. Il ciclo vitale dell’ictio, nonostante questo, resta abbastanza complesso e diviso sostanzialmente in tre fasi:

  1. TomitaTeronte: in questa fase il protozoo è libero di nuotare alla ricerca di un pesce da infettare. Si tratta dell’unica fase in cui il protozoo è vulnerabile alle medicine, cosa che approfondiremo a breve;
  2. Trofonte o Trofozoita: in questa fase l’ictio ha trovato un pesce da infettare, si è attaccato alla sua pelle ed alle sue branchie e si sta nutrendo, aumentando di dimensione anche di decine di volte, dai 10 alle centinaia di micrometri;
  3. Tomonte o Tomocisti: il protozoo ha terminato la fase di nutrizione, si è staccato dal pesce ed è finito in forma di cisti sul fondo, dove si riproduce anche migliaia di volte. La cisti infine si rompe, dando vita a migliaia di tomiti che ricominciano il ciclo vitale.
Ciclo vitale Ictio
Il ciclo vitale dell’ictio, schematizzato

Osservando al microscopio una cisti, potremo osservare il trofonte che ruota lentamente mentre si nutre. Un tratto distintivo del trofonte è il nucleo, a forma di ferro di cavallo. Durante la fase di nutrizione, un trofonte può assorbire un tomita, che gli dona il suo corredo genetico, in una sorta di riproduzione sessuata.

Ictio trofonte
Una fotografia al microscopio ottico di un trofonte dell’Ictio: è ben visibile il nucleo a forma di ferro di cavallo. Questo tipo di identificazione è fondamentale per distinguere l’ictio da malattia simili e scegliere le cure adatte

Quanto sopravvive l’ictio in acqua?

Questa domanda è il primo punto di “scontro” tra gli acquariofili. Quanto sopravvive un tomita in acqua in attesa di attaccarsi ad un ospite? Una settimana? Due? Cinque giorni?

Alcuni studi scientifici dimostrano che non esiste una risposta univoca a questa domanda: dipende da tanti fattori, come la temperatura e la quantità di nutrienti in acqua, ma andiamo a vedere qualche dato.

Un tomita in acqua pulita a 20 °C  non sopravvive più di 48 ore, anche se la maggior parte dei soggetti muore intorno alle 24 ore se non trovano un ospite a cui attaccarsi. Se in acqua sono però presenti dei nutrienti (sali minerali, proteine, aminoacidi, carboidrati) i tomiti sono rimasti attivi fino a 5 giorni. Se in acqua erano presenti cellule epiteliali di un pesce, o un estratto della pelle del pesce comprendente muco e succhi cellulari, i protozoi sono riusciti a rimanere attivi per 13 giorni prima di morire. In assenza di un pesce vivo, comunque, nessun tomita è diventato un trofonte in vitro.

Cisti ictio
Fotografia al microscopio ottico di una cisti di Ictio in riproduzione: si può osservare il sacchetto gelatinoso che racchiude i tomiti

Questo ci fa capire che il parassita può nutrirsi anche al di fuori dell’ospite in ogni sua fase, e che quindi mantenere pulito l’acquario con costanti cambi d’acqua e aspirando il detrito dal fondo è un ottimo modo sia per gestire che per prevenire la malattia.

Cosa attrae l’ictio: luce e nutrienti

Seconda credenza popolare: l’ictio segue la luce, o le ombre dei pesci per attaccarsi: sbagliato. Il protozoo non ha occhi nè organelli fotorecettori: la luce non li attrae nè li repelle.

Spegnere la luce è una pratica però comunemente consigliata durante la cura, e può avere due funzioni: la prima è che in assenza di forti luci il pesce malato è meno stressato, la seconda è che la luce ultravioletta potrebbe degradare il medicinale che si usa per curarlo. Il primo motivo è sensato, anche se tenendo spenta la luce tutto il periodo del trattamento andremo a stressare le piante, innescando altri problemi all’ecosistema.

In più, anche un pesce privato del proprio ritmo circadiano viene stressato. Immaginate di vivere in una casa senza finestre, come vi sentireste?

Il secondo motivo, quello della radiazione ultravioletta, ha completamente perso di significato con l’avvento delle lampade a LED, che non emettono affatto luce ultravioletta rispetto ai vecchi tubi a fluorescenza.

Se la vostra lampada lo consente, potreste pensare di diminuire un po’ l’intensità della luce, senza creare il buio. Non è davvero necessario, anzi: potrebbe rivelarsi dannoso.

Allora cosa attrae il parassita? Alcuni studi hanno dimostrato che la presenza di aminoacidi, proteine e zuccheri non attraggono nè attivano il parassita. Allo stesso modo estratti di pelle e muco di anfibi e rane non sono attrattivi efficaci, ma in presenza di estratto di pelle di pesce, il parassita si attiva, cambiando modo di nuotare cercando attivamente l’ospite.

Ictio branchie
Un ictio che parassita il tessuto delle branchie di un pesce

Altri studi hanno dimostrato che pesci feriti da cormorani hanno una probabilità maggiore di essere attaccati dall’ictio, proprio perchè le ferite rilasciano in acqua le molecole che attivano ed attraggono il parassita.

Questo ci fa capire che una buona alimentazione arricchita di vitamine e immunostimolanti, l’accumulo di poco muco sull’epidermide, favorito da un pH non alcalino e l’uso di acidi organici e polifenoli nella giusta quantità aiutano a mantenere l’epidermide sana e a prevenire l’infezione. Ma c’è di più.

Chimica dell’acqua e Ictio

I parametri chimico-fisici dell’acqua influenzano direttamente la vita dell’ictio: temperatura, pH, durezza e quantità di sali disciolti sono tutti fattori importanti.

Durezza e pH

È stato riportato che le condizioni migliori per fare attecchire l’ictio sono acque dure (120 mg/l di carbonato di calcio, corrispondenti a GH 12) e pH alcalini (9). Il calcio, in particolare, viene usato dai tomiti per nuotare, innescando il movimento delle ciglia, ma non viene assorbito dalle cisti in riproduzione. I tomiti dovranno quindi assorbire un po’ di calcio dall’esterno, e più ne trovano più velocemente saranno in grado di nuotare. È quindi una buona pratica quella di mantenere le durezze basse, con un buon rapporto tra calcio e magnesio, e il pH basso, soprattutto per favorire il ricambio degli strati di muco sulla pelle del pesce.

Molly ictio
Un black molly pesantemente colpito dall’ictio. La specie è particolarmente sensibile al parassita, forse perchè predilige valori dell’acqua in cui questo vive in maniera ottimale (pH alcalini, acque dure, temperatura di 25 °C).

Temperatura

La temperatura è un fattore cruciale, e questo è risaputo. Molti consigliano di alzare la temperatura a 30 °C ed oltre durante la cura, ma perchè?

La temperatura ideale per la riproduzione dell’ictio è di 20 °C, mentre a 30 °C le cisti si schiudono più velocemente, producendo tomiti più piccoli e in minor numero. Non solo: la temperatura aumenta il metabolismo del protozoo e i tomiti resteranno attivi in acqua per minor tempo prima di morire. La temperatura fa schiudere prima le cisti, facendo in modo che tutti i tomiti vengano colpiti prima possibile dal medicinale. Introduciamo qui due concetti fondamentali per la cura: si cura la vasca, non il pesce, e le cisti non vengono attaccate dal medicinale.

La pratica dell’aumento della temperatura, però, è stressante anche per il pesce, che è un animale a sangue freddo e risente molto peggio di noi animali a sangue caldo gli sbalzi di temperatura: non tutti i pesci sono in grado di sopportare temperature elevate per una settimana, e questo potrebbe fargli più male del parassita. In più, Un aumento improvviso della temperatura potrebbe destabilizzare anche il filtro, che, vedremo più avanti, può essere la vera cura alla malattia.

Salinità

Bagni di sale sono spesso indicati come possibile cura per l’animale colpito dall’ictio: niente di più sbagliato. Il puntino bianco è un santuario: nulla o quasi riesce ad entrare e a dare fastidio al parassita senza che questo dia fastidio anche al pesce. Fare bagni di sale può disinfettare le ferite, ma manipolare il pesce malato può a sua volta aprirne di nuove, favorendo le reinfezioni.

In più, non tutti i pesci sono in grado di sopportare questo grado di salinità, e, di nuovo, la cura potrebbe essere peggiore della malattia, a seconda della specie.

È però stato dimostrato che se la concentrazione di cloruro di sodio supera i 5 grammi per litro, le cisti sul fondo bloccano la riproduzione, occasionalmente anche morendo. Le cisti in riproduzione, però, si trovano sul fondo dell’acquario, non sul pesce, quindi dovremo sciogliere una buona quantità di sale nel nostro acquario. Si cura la vasca, non il pesce, ricordate?

Resteremmo poi con un dubbio: dopo aver cambiato acqua dopo il trattamento con il sale, è possibile che le cisti riprendano a riprodursi? La cura, in quel caso, non sarebbe definitiva.

Questo farebbe male all’equilibrio del filtro e alle piante. Insomma: se l’acquario è privo di piante e i pesci sono in grado di sopportare il sale, è una possibilità. In tutti gli altri casi, il beneficio non vale il sacrificio. I bagni di sale, in breve, non sono una soluzione affidabile.

Specie di pesci ed Ictio

L’ictio è purtroppo diffuso in tutto il mondo e colpisce un po’ tutte le specie, alcune più facilmente di altre soprattutto in base allo spessore e alla forma delle scaglie.

Si è inoltre osservato che esemplari di specie addomesticate da lungo tempo sono più resistenti di specie di più recente cattura e diffusione. Questo avviene forse perchè a causa delle ristrette dimensioni di un acquario, l’ictio diventa più aggressivo ed il pesce ha sviluppato naturalmente delle difese immunitarie in grado di resistere all’attacco.

Il sistema immunitario dei pesci, infatti, ricorda il parassita ed è in grado di prevenire le reinfezioni, e sono allo studio anche alcuni vaccini per pesci di allevamento di interesse gastronomico. Così come per tutte le malattie, intoltre, esistono diverse varietà di Ictio, alcune più aggressive di altre.

Globalmente, si è riscontrato che la malattia colpisce nei climi temperati soprattutto nel periodo estivo, e nei climi subtropicali soprattutto nel periodo dalla primavera all’autunno. Si ritiene che questo dipenda dalla temperatura dell’acqua, che attiva il protozoo e causa l’infezione (la temperatura giusta è di 20 °C, ricordate?).

Ictio ed altre infezioni

Come abbiamo  visto, ferite ed ulcerazioni facilitano l’attacco dell’ictio, e quindi un pesce che abbia una infezione anche batterica della cute sarà più facilmente colpito dal parassita.

Alcuni studi hanno però dimostrato che tra le ciglia dell’Ictio possono annidarsi alcuni batteri potenzialmente patogeni, come l’Aeromonas hydrophila, lo Streptococcus iniae ed il Flavobacterium columnare.

Quindi, le infezioni possono indurre l’ictio, ma l’ictio può indurre anche altre infezioni anche fatali.

Fattori di stress ed ictio

Anche i pesci, come tutti noi, soffrono lo stress. Lo fanno per motivi simili ai nostri: chi amerebbe vivere in posti affollati e chiusi, pieni di smog e pesticidi, con un gran numero di coinquilini bulli e chiassosi? Nessuno di noi, e nemmeno loro.

Quindi l’inquinamento da medicinali, pesticidi e idrocarburi, acquari sovraffollati di molti esemplari di specie diverse con comportamenti diversi e diversi livelli di aggressività possono aumentare i livelli di stress.

Allo stesso modo, cambi improvvisi di temperatura, rumori nell’ambiente che si trasmettono all’acqua, vibrazioni, lampi e improvvise continue mancanze di corrente possono indurre stress negli ospiti dei nostri acquari.

Proprio come noi, nei pesci lo stress viene espresso tramite due ormoni: il cortisolo, che attiva il sistema immunitario ed aumenta la concentrazione di zuccheri e cloruro nel sangue, e l’adrenalina, che aumenta il battito cardiaco ed aumenta la soglia di attenzione.

Questi ormoni sono utili occasionalmente in caso di pericolo, ma se vengono attivati in continuo debilitano l’animale, indebolendo il sistema immunitario e rendendolo inefficace nei confronti di un parassita.

Curare l’ictio

Ora che abbiamo definito chi è l’ictio e cosa lo causa, vediamo come contrastarlo. Ripetiamo le due regole auree, che sono valide per ogni trattamento:

  • Si tratta la vasca, non il pesce
  • Le cisti non vengono attaccate da nessun medicinale

L’unica forma in cui il protozoo è vulnerabile, infatti, è quella di tomita.

Nella storia sono stati usati diversi principi attivi nella cura dell’ictio, il più efficace dei quali è stato il verde di malachite, purtroppo ritirato dal commercio perchè cancerogeno.

Esistono però diversi trattamenti, come il blu di metilene e l’acriflavina, che si sono dimostrati parimenti efficaci.

Faunamor Ictio
Il Faunamor della Aquarium Munster, uno dei pochi trattamenti per l’ictio commercializzati in Italia. Tra i principi attivi, è presente anche blu di metilene, che colora l’acqua di blu

Acquario Chimica e Tecnica consiglia caldamente l’utilizzo di medicinali pensati direttamente per il trattamento della malattia, che contengono diversi principi attivi in grado di curare non solo l’ictio ma anche controllare o prevenire le infezioni secondarie che possono assorciarsi ad esso. In più, ci sentiamo di sconsigliare in ogni modo l’utilizzo in vasca di medicinali per uso umano.

L’uso di farmaci però può compromettere la maturazione della vasca, sia a livello dei batteri nel filtro che della microfauna. La cura talvolta è necessaria, ma la cura più efficace è la creazione di un ambiente in grado di prevenire e contrastare da solo la malattia. Come si può fare? Lo vedremo nel prossimo paragrafo.

Prevenzione: salute, mantenimento e filtrazione dell’Ictio

Guardando alla regola aurea, per curare l’ictio bisogna curare la vasca, non l’animale. Quindi in realtà chi si ammala: la vasca o l’animale? Ovviamente i puntini bianchi non li vedremo mai sugli arredi e sui vetri, ma se il pesce si ammala vuol dire che l’ambiente in cui vive favorisce il parassita almeno quanto l’animale.

Creare un ambiente che favorisca la salute dell’animale e sia ostile al protozoo, quindi, è un modo di prevenire e curare piccoli focolai di ictio. Ma come possiamo fare?

Manutenzione dell’acquario

Facciamo cambi regolari d’acqua, manteniamo bassi i livelli di inquinanti dando da mangiare la giusta quantità (ovvero poco) di mangime ed aspiriamo i detriti dal fondo della vasca. Facendo così diminuiremo lo stress per l’animale e anche le fonti di sostentamento per il tomita in nuoto.

Alimentazione

Nutriamo gli animali con la giusta quantità di mangime: poco, in maniera che non lascino residui, una o più volte al giorno a seconda della specie. Molti dei meno esperti si lasciano convincere da alcuni comportamenti, tipici di Guppy, Platy e Molly in particolare, di avvicinarsi al vetro quando ci avviciniamo all’acquario, come se ci chiedessero cibo. Il pesce si è evoluto per mangiare tutto quello che può ogni volta che può, ma lo fa perchè la quantità di alimento che ha a disposizione in natura è davvero scarsa. Se diamo da mangiare ai nostri pesci 10 volte al giorno, mangeranno 10 volte al giorno tutto, digerendo però molto male, aumentando gli inquinanti in acqua.

L’alimentazione dei pesci richiede quindi un minimo di informazione: alcuni è bene nutrirli una volta al giorno, alcuni più volte al giorno, basta informarsi e non esagerare.

È cosa buona, inoltre, usare mangimi di tipo differente per variare i nutrienti. Ne bastano due, massimo tre tipi diversi, granulati e fioccati insieme, non è importante.

In più, integrare una volta a settimana estratto d’aglio come integratore immunostimolante e vitamine al mangime aiuta a mantenere gli animali in forma e il sistema immunitario responsivo.

Filtrazione dell’ictio

Un fattore fondamentale ma mai considerato per il trattamento e la prevenzione dell’ictio e in generale di tutte le malattie dei pesci è l’efficienza del filtro dell’acquario.

Partiamo a parlare del flusso: è stato dimostrato  che la virulenza dell’ictio diminuisce all’aumentare della velocità del flusso dell’acqua: apparentemente se l’acqua è ferma il protozoo riesce ad attaccarsi all’ospite molto più facilmente. L’utilizzo di una piccola pompa di movimento (1000 litri/h per acquari sopra i 60 litri, 2000 litri/h oltre i 180) dovrebbe già aiutare a diminuire il rischio di infezioni.

Il tomita nuota liberamente in acqua alla ricerca di un pesce da infettare, ed è grande da 50 a 100 micrometri.

Immaginiamo di portare a casa dal negozio un pesce che ha una cisti dormiente che decide di risvegliarsi a causa della temperatura o dello stress del trasferimento. La cisti ingrandisce e cade, finendo nel fondo del nostro acquario, diciamo di 100 litri di volume. Immaginiamo che la cisti schiuda rilasciando 1000 tomiti, e immaginiamo che il 99% di essi muoia prima di trovare un pesce da infettare: avremo 10 cisti. Queste 10 diventeranno poi virtualmente 100, poi 1000, 10000 prima di realizzare che abbiamo un problema. Come ci aiuta il filtro?

Immaginiamo che il nostro filtro riesca a filtrare 800 litri per ora, circa 8 volte il volume della vasca. Dentro il filtro si trova della morchia, un fango che non è un prodotto di scarto della filtrazione come spesso si ritiene, ma è la casa di una piccola comunità microscopica. Questa piccola comunità normalmente include un numero soprendentemente elevato di protozoi carnivori dalle dimensioni di 50-500 micrometri. Questi carnivori includono stentori, rotiferi, ciliati, flagellati, parameci ed altre specie.

Il fango è pieno di piccoli passaggi obbligati attraverso cui l’acqua deve passare. Quando il tomita passa attraverso il fango, possono succedere due cose: si attacca alla superficie mucillaginosa della morchia dove muore, o viene catturato e divorato dai filtratori carnivori.

Il fango che si accumula nel filtro è dannoso se ostruisce il passaggio dell’acqua, sforzando il motore e diminuendo la portata del filtro. La sua presenza, però, è molto utile nella filtrazione anche dei parassiti.

Dopo una fase iniziale in cui la malattia potrebbe lentamente diffondersi, l’aumento dei filtratori carnivori potrebbe iniziare a diventare efficace: diciamo che il 95% dei tomiti nella seconda schiusa venga divorato dai filtratori durante il primo passaggio attraverso il fango. al secondo passaggio ne resterà solo il 2%, e dato che il ricambio d’acqua è rapido (8 volte all’ora) l’ictio dovrà passare nel filtro quasi 200 volte al giorno. Sarà quindi estremamente difficile che l’ictio riesca ad attaccare un pesce, in queste condizioni.

C’è da dire che non esistono studi diretti sull’ictio in merito, ma esiste uno studio che dimostra che questo meccanismo funziona per infezioni da un altro parassita, il Gyrodactylus.

“Lo stanziamento dei parassiti era correlato negativamente dall’attività di organismi nel biofilm e sulle pareti della vasca. I test di laboratorio hanno mostrato che gli organismi del biofilm (Turbellarie) hanno ingerito le uova del parassita. Si suggerisce che l’attività predatoria del biofilm influenzi il livello di virulenza”.

È quindi bene pulire le spugne del filtro se notiamo che la portata diminuisce nel tempo, ma la pulizia maniacale dei materiali filtranti è controproducente nella gestione dell’acquario e anche nella prevenzione delle malattie.

È da notare che “ai vecchi tempi” veniva usata con successo la filtrazione su terra di diatomee per trattare l’ictio ed altre malattie. I filtri a terra di diatomee rimuovono parecchi parassiti dall’acqua prima che possano attaccare gli ospiti, e quando il parassita si stacca il pesce resta privo di malattie. Questi filtri, ora desueti, erano in grado di rimuovere meccanicamente i tomiti. Un filtro a cestello di concezione moderna può però sopperire facilmente, se messo nelle condizioni di lavoro ideali.

La filtrazione, è bene dirlo però, può aiutare a non sviluppare malattie o a tamponarle e combatterle nel caso siano agli stadi iniziali. Il trattamento medicinale in vasca resta comunque l’unica via di uscita nel caso di malattie in stato avanzato.

Un filtro a terra di diatomee